Ripresa delle indagini archeologiche a Palazzo Pignano. Seconda e terza campagna di scavo 2017-2018

Ripresa delle indagini archeologiche a Palazzo Pignano. Seconda e terza campagna di scavo 2017-2018, a cura di Furio Sacchi e Davide Gorla, Salpendi Editore, Milano 2020.

A Palazzo Pignano si trova il più importante sito archeologico del territorio cremasco: una villa romana tardoantica. L’abitato sorse su un lembo di terra fra il bacino palustre del Moso a est e la valle fluviale dell’Adda a ovest. Era posto lungo una strada – diramazione di quella che collegava Brescia e Lodi Vecchio – che proseguendo attraverso Pandino e Melegnano, giungeva fino a Milano. In epoca romana questa zona apparteneva all’ager bergomensis, cioè al territorio facente capo a Bergamo come si deduce dall’andamento della centuriazione, vale a dire la suddivisione del territorio rurale secondo direttrici parallele e ortogonali. Le prime tracce di edifici rurali in quest’area risalgono al I-II secolo d.C. Alla metà del III secolo si data una struttura ancora oggi visibile: si tratta di un vano dotato di un sistema di riscaldamento usato come essiccatoio o affumicatoio per cereali, legumi, carni e formaggi. Le due fasi edilizie più importanti del complesso sono però più tarde e si collocano nel secondo quarto del IV secolo (cioè, tra il 325 e il 350 circa) e nella prima metà del V secolo (cioè, fra il 400 e il 450 circa) quando l’edificio fu quasi completamente ricostruito. La grande villa, che fungeva sia da azienda agricola che da lussuosa residenza di campagna, non è stata indagata completamente: ne sono state scavate infatti due parti, una più vicina alla chiesa (verso ovest) e una più lontana (verso est). Quella a ovest è formata da numerose stanze dalle forme originali (cerchi, semicerchi, esagoni ecc.) poste intorno a un giardino ottagonale circondato da un portico chiamato peristilio. Quella a est è una grande sala absidata, preceduta da un vano d’accesso. Era l’ambiente di rappresentanza del proprietario. La villa aveva pavimenti con mosaici colorati, pareti dipinte con vari colori, riscaldamento ad aria calda e vetri alle finestre, mentre il grande giardino ottagonale era probabilmente decorato con statue in marmo. I reperti provenienti dallo scavo sono conservati nel locale Antiquarium e nel Museo Civico di Crema e del Cremasco. Non sappiamo chi furono i proprietari della villa, però nel 1651 lo storico piacentino Pier Maria Campi riporta la tradizione secondo cui i ricchi Piniano Valerio Severo e la moglie Melania Valeria Massima, vissuti tra IV e V secolo, donarono i loro possedimenti alla chiesa. Di qui la tradizione, non suffragata da alcun documento, secondo cui Piniano sarebbe stato il proprietario della villa e avrebbe dato il suo nome all’abitato. Attorno al 350 d.C. a ovest della villa fu costruito un edificio circolare, detto la ‘Rotonda’ probabilmente concepito fin dall’origine come luogo di culto cristiano. I resti sono oggi visibili a fianco della pieve romanica e al suo interno. Nella prima metà del V secolo, alla ‘Rotonda’ furono aggiunti un avancorpo rettilineo preceduto da un porticato, un fonte battesimale e un synthronon, cioè un sedile semicircolare in muratura addossato all’abside riservato agli ecclesiastici. Nei secoli successivi la villa fu abbandonata. Attorno all’870-900 circa dovette progressivamente ricostituirsi un abitato attorno alla pieve, che divenne proprietà della diocesi di Piacenza. L’esistenza di Palazzo Pignano è documentata a partire dall’anno 1000, mentre la titolazione della pieve a San Martino è attestata per la prima volta nel 1015 e risale probabilmente all’epoca carolingia (VIII-IX secolo).

Questa pubblicazione costituisce la seconda tappa di un percorso iniziato nel 2017 (Ripresa delle indagini archeologiche a Palazzo Pignano. Prima campagna di scavo maggio-giugno 2016, a cura di Marilena Casirani e Furio Sacchi, EDUCatt, Milano 2017) con la presentazione preliminare dei dati emersi dagli scavi archeologici avviati nel sito di Palazzo Pignano l’anno precedente. Rispetto all’impostazione del primo volume, dove si erano volute privilegiare le relazione di scavo e le analisi di alcuni reperti tra i più significativi, in questa sede si è deciso di presentare, oltre alle novità acquisite negli anni 2017-2018 e a manufatti non contemplati nella precedente edizione, alcuni reperti dalle più datata esplorazioni (1969-1982), poiché essi rappresentano preziosi tasselli per perfezionare la conoscenza sulla cultura materiale della residenza tardoantica e non solo.

Le indagini archeologiche sono state condotte dal Dipartimento di Storia, Archeologia e Storia dell’arte dell’Università Cattolica di Milano in regime di concessione di scavo triennale (2017-2019). Ai lavori del 2017 hanno partecipato studenti del corso di laurea triennale in Scienze dei Beni Culturali (Gianluca Marta), del corso di laure magistrale in Archeologia e Storia dell’Arte (Francesca Capinera, Gabriele Mirulla, Davide Gorla, Nicoletta Gelfi, Luca Polidoro, Roberta Rizzi, Luca Pintaudi), della scuola di specializzazione in Beni Archeologici (Beatrice Bellicini, Maria Laura Delpiano, Elisa del Galdo, Romina Marchisio, Chiara Pupella). Hanno collaborato in qualità di responsabile di cantiere la dottoressa Federica Matteoni e come volontario il dottor Luca Restelli. Ai lavori del 2018 hanno preso parte studenti del corso di laure magistrale in Archeologia e Storia dell’Arte e in Scienze dell’Antichità (Francesca Capinera, Giunluca Marta, Roberta Rizzi, Gabrile Mirulla, Nicoletta Gelfi, Davide Gorla, Luca Polidoro, Sofia Bulgarini, Francesca Vercelli, Antonio De Luca), della scuola di Specializzazione in Beni Archeologici (Gessica Corbella, Luca Pintaudi). Hanno collaborato in qualità di responsabile cantiere il dottor Stefano Cervo, coadiuvato dal dottor Antonio Dell’Acqua, e come volontari le dottoresse Federica Grossi e Romina Marchisio. I disegni dei reperti sono stati eseguiti da Remo Rachini e da Davide Gorla; le fotografie di alcuni materiali sono state realizzate da Filippo Airoldi presso il laboratorio di Archeologia ‘Michelangelo Cagiano de Azevedo’ dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

La collana presenta i risultati di ricerche e indagini relative al patrimonio archeologico della Lombardia per quanto attiene al periodo romano e tardoantico. Il progetto editoriale prevede volumi monografici, atti di incontri e seminari, pubblicazioni di tesi di dottorato o di scuola di specializzazione in Beni Archeologici.

Furio Sacchi è professore di Archeologia Classica e di Storia dell’Architettura greca e romana presso l’Università Cattolica di Milano. Dal 2016 è Direttore scientifico degli scavi di Palazzo Pignano.